Rubens Barrichello ricorda il periodo in Ferrari raccontando un altro lato di Michael Schumacher.
I nomi di Michael Schumacher e di Rubens Barrichello sono legati agli anni d’oro della Ferrari.
Il tedesco ha conquistato cinque dei suoi sette titoli con la scuderia di Maranello, mentre il suo compagno di squadra ha vinto nove gare. E per ben due volte è arrivato secondo nella classifica del mondiale piloti.
Ciò non è bastato al brasiliano, che spesso negli anni ha lamentato il trattamento da secondo pilota che gli è stato spesso riservato in Ferrari. In parte, Barrichello incolpa Schumacher e il suo comportamento con cui è riuscito a imporsi in squadra.
Al podcast Beyond the Grid, l’ex pilota di Formula 1 si è tolto quale sassolino dalla scarpa, usando parole forti contro quello che è stato il suo compagno di squadra dal 2000 al 2005:
“Ho sempre fatto amicizia e ho sempre avuto un buon rapporto con tutti i miei compagni di squadra. Ma [Schumi] non è mai stato di supporto. Non è mai stato lì per offrire aiuto, quindi non ho mai chiesto. Michael era diverso. Era un po’ ingenuo nel modo in cui lavorava. Così tante volte finivamo una riunione e poi ne iniziavano un’altra con solo Michael lì! Mi bastava prendere la sedia e sedermi. A volte era come se la squadra fosse la sua.”
Bernie Ecclestone dichiarò che nel contratto di Barrichello c’era una clausola in cui gli si diceva che non gli era concesso lottare contro il suo compagno di squadra. Il brasiliano ha poi smentito questa versione al sito della Formula 1, sostenendo che non avrebbe firmato nulla del genere.
“Nel mio contratto non c’era niente di questo. Per il mio bene, ho accetto un sacco di cose. C’erano anche molte cose che non ho accettato, ma altre sì perché stavo crescendo in quel team. Per sei anni sono maturato e sentivo che il mio momento stava arrivando.”
Barrichello non ha vinto nessun mondiale, ma ha avuto un grandissimo ruolo nell’aiutare Schumacher e la Ferrari a conquistare cinque titoli costruttori e piloti consecutivi.
“Dico sempre che [Michael] era migliore di me. Non lo metto in dubbio”, ha proseguito il brasiliano nella stessa intervista. “Lui c’era prima di me, dal ’96. Ha avuto quattro anni per crescere. E ovviamente Jean Todt lo considerava come un figlio. Per un nuovo arrivato era difficile pretendere un po’ di libertà.”
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