Entrare in un tunnel implica non sapere quando vi si uscirà. Non si conosce la lunghezza, il suo interno e cosa si proverà a starci all’interno. Il buio inghiotte, oscura la fine e la luce si affievolisce anche se si procede in avanti. Alcuni rimangono sepolti in questa nuova dimensione, ammirando il luccichio all’orizzonte; altri riescono a mettere il piede fuori, ad uscirne. Ogni tunnel è a sé, personale o collettivo, concreto o fittizio, voluto o subito. Sfrecciando nella buia notte di Singapore, trascinando la SF90 per primo alla bandiera a scacchi, Sebastian Vettel è uscito dal suo tunnel personale.
Il suo tunnel lo aveva imboccato da solo, nella serie di insuccessi che avevano incrinato il suo rendimento. Ne è uscito dopo 392 giorni il GP del Belgio, dimostrando esattamente quello che tutto l’universo automobilistico gli stava chiedendo di fare: vincere. La sofferenza vissuta la si è vista dal volto stanco e disidratato sul podio, lo stesso volto mosaico di piccole tante espressioni di felicità per aver acciuffato la vittoria tanto agognata. Oppresso dalle critiche, frantumato dai giudizi, il pilota di Heppenheim rischiava di rimanere imbottigliato in una piatta esistenza in F1, accettando il declino prima del ritiro, facilitando l’ascesa del suo compagno di squadra.
È uscito dal tunnel quando stava per essere inghiottito dal fantasma dei suoi insuccessi. Questo suo ritorno non cancella il passato oscuro che lo ha inseguito (e che lo braccherà ancora). Ha dimostrato che può ancora esserci, che si può ripiombare nelle proprie nevrosi da gara in ogni momento, ma anche che Sebastian Vettel è ancora in grado di portare la macchina per primo alla bandiera a scacchi. Come detto, non cancella quello che sono stati i suoi errori, tantomeno sbiadisce l’astro nascente che è Charles Leclerc, ma di sicuro dà voce a quella parte di tifoseria e parte dello Scuderia che lo difendeva a spada tratta. Ciò non significa che Vettel sia rinato, ciò significa che bisogna dare ragione a chi lo ha confermato.
Mancano 6 gare alla fine della stagione e ha ancora tempo per rimediare ai tanti scivoloni (o meglio inciampi, se pensiamo ad un Sebastian itinerante verso l’uscita del tunnel) di questa stagione. Un risultato positivo non riequilibra gli errori passati. La bilancia deve essere soppesata con lo stesso carico degli errori passati. Sebastian è uscito fuori, magari vuole godersi un po’ d’aria fresca fra i diversi elogi e i volti sorpresi di chi lo voleva già fuori dal circus F1.
Chi sembra invece aver imboccato un sentiero più intricato di quello precedente è la Mercedes. Le frecce d’argento sembrano aver perso quello smalto a cui si era abituati semplicemente vedendo passare (soprattutto sfrecciare) il colore della loro monoposto. Non sorprende Bottas, quanto piuttosto Hamilton. L’inglese, lamentino con il team per un rientro ai box ritardato che ha compromesso la gara, ha leggermente inclinato il suo rendimento al rientro dalla pausa, vuoi per l’ascesa Ferrari, vuoi per un leggero sonnecchiare visto l’enorme divario di punti fra lui e il secondo. Più che un crogiolarsi sugli allori da primo della classe, sembra soffrire un confronto con le anime rosse, in una gara che sembrava disegnata per l’assetto della W10. Quello Mercedes non è affatto l’imboccare di un tunnel, seppure un leggero declivio anche accettabile visti gli straordinari risultati di inizio stagione.
Meglio così, ne va dello spettacolo e delle vertigini da far sentire nel finale di stagione. Che nessuno imbocchi più in tunnel, sentieri scoscesi o strade inesplorate. Vedere i primi 6 della classifica uno accanto all’altro come trainati da un filo invisibile fa solo salire il godimento e la libido sportiva. Tutti in Russia, il campionato non è archiviato come sembrava.