Storia di come Red Bull ha eliminato il porpoising grazie all’esperienza di Newey con… Fittipaldi.
La stagione 2022 ha emesso un verdetto ben preciso. Che piaccia o meno, la RB18 di casa Red Bull è stata (quasi) sempre la vettura da battere, come dimostrato dalla conquista di entrambi i titoli con largo anticipo.
Dietro a queste performance dominanti c’è però un segreto, che parte dal lontano 1980.
Mentre il compianto Mateschitz poneva le basi per quello che sarebbe stato il gruppo che nel tempo si è conquistato il ruolo di leader nel mercato delle bibite energetiche, in Formula 1 un giovane Adrian Newey si affacciava al mondo delle corse.
Newey prima di Red Bull: tra porpoising e molle di gomma
L’attuale direttore tecnico Red Bull, nel raccontare i suoi primi passi nel motorsport a Auto Motor und Sport spiega che l’effetto suolo è stato oggetto dei suoi studi fin dall’Università.
“Ho approfondito il fenomeno dell’effetto suolo fin dall’Università. Il mio ultimo progetto da studente riguardava proprio i suoi effetti sulle vetture sportive”, spiega il britannico.
Conclusi gli studi, Newey ha così potuto sperimentare sul campo quanto appreso sui libri.
“Cercavo un team con cui iniziare un periodo di stage. Ho scritto a tutte le squadre del campionato 1980 di Formula 1. Nessuno rispose. Nessuno tranne Harvey Postlethwaite”.
Il progettista inglese, passato anche dai cancelli di Maranello, all’epoca lavorava per il team di Wilson Fittipaldi (fratello di Emerson) e decise di offrire a Newey il ruolo di apprendista nel reparto aerodinamica.
“È stato strano. Appena assunto ero subito il capo dipartimento. Il motivo? C’ero solo io!”, racconta divertito il direttore tecnico Red Bull.
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Newey ha così potuto sperimentare fin da subito le conseguenze di una vettura che sfruttasse l’effetto suolo, porpoising compreso. Proprio per questo l’inglese si è detto stupito del fatto che gli altri team siano stati presi in contropiede dai rimbalzi in rettilineo.
“Lo chiamavamo porpoising già 40 anni fa. Era un fenomeno conosciuto. Per questo ero perfettamente consapevole di quanto sarebbe successo con il ritorno dell’effetto suolo in F1. In realtà avrebbero dovuto saperlo tutti. Succede sempre con questo tipo di auto”, racconta il britannico.
“Le difficoltà stanno nel tradurre questo fenomeno in un modello di studio”, spiega poi Newey. “In galleria del vento usiamo prototipi statici, per cui è impossibile simulare i rimbalzi. C’erano comunque modi per prevederlo e fortunatamente siamo riusciti a gestirlo per tempo”.
In effetti, con l’aggiornamento introdotto fin dai test in Bahrein la RB18 è divenuta sostanzialmente immune al porpoising mentre piloti (e ingegneri) di Ferrari e Mercedes lottavano con i continui rimbalzi in rettilineo.
Newey: “Il segreto non è sempre nell’aerodinamica”
“I rimbalzi sono generati principalmente dall’aerodinamica. Eppure, c’è dell’altro”, spiega Newey. “All’epoca di Fittipaldi, Harwey amava sperimentare. Fu così che decidemmo di provare delle molle di gomma per ridurre i rimbalzi, pensando che si trattasse di un fenomeno esclusivamente areodinamico. Il risultato fu terribile. Ci presentammo a Silverstone con una vettura che saltava così tanto che le ruote anteriori si sollevavano. Fu comunque una buona lezione per capire che anche la meccanica della vettura aveva un ruolo fondamentale per risolvere il porpoising”.
Tornando al presente, l’ingegnere britannico rivela che la soluzione del porpoising sia frutto di ampi compromessi in termini di progettazione della vettura.
“Il punto nodale è che queste auto richiedono dei compromessi, fin dalla progettazione”, chiarisce Newey. “Bisogna trovare il punto di equilibrio tra deportanza, rimbalzi e altezza da terra della vettura e credetemi, le abbiamo provate tutte. La prima versione della RB18 non andava per nulla bene, non era stabile in pista. Per fortuna, dopo un lungo lavoro e grazie agli strumenti di simulazione di cui disponiamo oggi, abbiamo quasi eliminato del tutto i rimbalzi”.
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