Il Gran Premio d’Italia è stata la vetrina di una Formula 1 dove il fattore umano conta sempre di più.
Tante volte negli ultimi anni si è accusata la Formula 1 di aver intrapreso un percorso dove le differenze tecniche tra le varie scuderie erano così ampie da rendere quasi ininfluente il ruolo del pilota.
Tanti sono stati i mondiali negli ultimi anni monopolizzati da una sola scuderia, come la Red Bull dal 2010 al 2013 o la Mercedes dal 2014 al 2016. Le doppiette si sprecavano e intere decine di Gran Premi stagionali venivano assegnati ad un solo pilota. Le gare, salvo rare eccezioni, diventavano sempre meno combattute e gli autodromi sempre più vuoti.
Alle radici del cambiamento
Dall’anno scorso tuttavia qualcosa è cambiato.
Sebbene le differenze tra i top team e il resto della griglia restino ancora molto grandi, come è sempre stato in Formula 1, le prestazioni della Mercedes sono state molto avvicinate dalla Red Bull e in particolare dalla Ferrari. Questo è stato possibile grazie alla stabilità regolamentare e all’abolizione dei gettoni per le power unit, che ha permesso ai motoristi di sviluppare liberamente i propulsori e ridurre il distacco dalle Frecce d’Argento. Si tratta di una tendenza che offre uno spunto di riflessione in vista del 2021, spingendo verso un mantenimento dell’architettura attuale delle power unit e possibilmente verso un’abolizione dei divieti dei test in pista e delle simulazioni ridotte in galleria del tempo.
In attesa che chi di dovere continui a lavorare per favorire l’equilibrio in griglia, si può comunque essere contenti dello spettacolo offerto attualmente in pista. Il mondiale 2018 è uno dei più intensi e combattuti dell’ultima decade, persino più entusiasmante di quello 2017.
Quasi ad ogni Gran Premio fino a pochi giri dal termine vige grande incertezza e la corsa viene rimescolata da continui colpi di scena. Il tutto avviene in autodromi che finalmente ritornano ad essere stracolmi di gente. Tuttavia la cosa più importante è che l’equilibrio prestazionale tra Mercedes e Ferrari ha ridato valore al ruolo del pilota nell’esito del Gran Premio.
Non si sta parlando delle difficoltà del guidare le moderne monoposto, su cui potrebbero essere stesi interi libri e analisi di approfondimento. Il fattore umano che sta tornando a farsi sentire è l’abilita del pilota di influenzare l’esito della gara andando oltre i limiti della propria vettura.
Il fattore uomo
Ed è così che dopo ore di simulazioni e prove libere per trovare l’assetto ideale, nel Q3 i distacchi tra il poleman e gli altri;(a volte inferiori al decimo) sono talmente ridotti da essere attribuibili solo alla bravura dell’uomo di trovare quel qualcosa in più dalla macchina rispetto agli altri.
Oppure, anche quando la sua Mercedes non appare al livello della concorrenza,;Lewis Hamilton riesce spesso a metterci del suo, mostrando in diverse occasioni tutta la propria classe sul bagnato, sovvertendo ogni pronostico.
Il fattore umano può essere condizionante per i successi così come per le sconfitte. Dunque, i tanti errori in stagione di Sebastian Vettel sono riconducibili alla tanta pressione e;a quanto ogni protagonista di questo mondiale sia spinto al limite. Nella drammaticità degli episodi in cui il tedesco è stato coinvolto si può comunque constatare che Vettel sbagli perché è umano e che sia lui che;la Ferrari vengano spinti oltre limiti che negli ultimi anni non venivano nemmeno toccati.
Oltre alla pista il lato umano emerge anche in corsia box. Tralasciando per un attimo il giudizio etico sulla sportività o meno di alcune dichiarazioni,;ben vengano i botta e risposta e le frecciatine tra gli uomini Mercedes e quelli Ferrari,;segno di una sfida che sta coinvolgendo tutti. L’ultima in ordine di tempo è il team radio durante la parata Mercedes a Monza dopo la vittoria del Gran Premio:;“Una formazione da mostrare ai nostri colleghi italiani”. Si tratta di una risposta al “qui a casa loro” di Vettel a Silverstone e della prova che l’agonismo ha tirato fuori l’umanità anche dagli ingegneri,;troppo spesso celata da dichiarazioni politicamente corrette tanto false quanto scontate.
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Segnali di rinascita?
Si è ancora ben lontani, e probabilmente non vi si tornerà mai,;dalla schiettezza di piloti quali James Hunt o dalle imprese leggendarie degli anni ’60 della Formula 1. Solo per citarne una, la straordinaria rimonta al Gran Premio d’Italia 1967 di James Clark, quando risalì da ultimo e doppiato dopo un problema al pit-stop fino al comando,;salvo poi concludere terzo per un problema tecnico.
Dunque a prescindere di quale sarà l’esito di questo mondiale 2018, c’è più di un motivo per essere contenti di questa Formula 1 che vede tornare i piloti a giocare un ruolo determinante nell’esito delle gare,;nel bene e nel male. Allo stesso tempo anche le dichiarazioni e i commenti diventano più schietti, sinceri, diretti, in una parola sola umani.
C’è da essere contenti perché la Formula 1 ha da sempre appassionato piloti, ingegneri e pubblico per la sua capacità di far sentire vivi e di allontanare così;il pensiero della morte, che tanto è stata presente proprio in questo mondo. La Formula 1 è vita e non si può vivere senza un minimo di umanità.
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