Tra i più ricchi d’Inghilterra grazie alla F1: scopri la storia, tra luci ed ombre, del Napoleone del Motorsport Bernie Ecclestone.
Alto un metro e 59. All’epoca sovrano della F1. Diciamocelo, l’accostamento ad un imperatore funzionava eccome e sicuramente era gradito anche allo stesso Bernie Ecclestone. Del resto, l’inglese non ha mai nascosto di credere “nella dittatura piuttosto che la democrazia” e di essere disposto “a prendersi una pallottola per Putin”. Ma questa è un’altra storia.
Ad Ecclestone, in realtà, è sempre bastato poco per far parlare di sé. A 92 anni, l’inglese è tornato sui giornali dopo aver ammesso l’evasione di quasi 400 milioni di sterline nei confronti del fisco britannico. Ammissione a cui è seguita la condanna a 17 mesi di carcere con condizionale di 2 anni.
Ma chi è l’uomo che ha portato la F1 dall’ essere uno sport di nicchia a superare il miliardo di ascolti?
Le origini: l’incidente e il prematuro addio alle corse
Bernie Ecclestone è nato nel 1930 nella contea del Suffolk, nell’Inghilterra orientale. Figlio di un capitano di peschereccio, a 16 anni lasciò gli studi per andare a lavorare come assistente in un laboratorio chimico. Nel dopoguerra provò a diventare pilota di auto e di moto e si finanziò con la compravendita di pezzi di ricambio.
È stata proprio questa attività a rendere ricco Ecclestone: la sua carriera agonistica è stata stroncata da un incidente sul circuito di Brands Hatch, ma la compravendita di ricambi si è evoluta in Compton & Ecclestone, una delle principali concessionarie di auto usate della Gran Bretagna.
Il ritorno: l’unico campione del mondo postumo
Ecclestone tornò nel mondo delle competizioni sul finire degli anni ’50: divenne manager di alcuni piloti, acquistò la scuderia Connaught e tentò di qualificarsi al Gran Premio di Monaco del 1958. Già nello stesso anno, però, abbandonò le corse per la seconda volta, quando un suo pilota, Stuart Lewis-Evans, morì in un incidente al Gran Premio del Marocco.
Fu un altro addio temporaneo. Negli anni ’60 Ecclestone divenne infatti il manager dell’austriaco Jochen Rindt. La sua terza avventura sportiva, però, finì come la seconda. Il 5 settembre 1970, a Monza, Rindt perse il controllo della sua Brabham durante le qualifiche della quartultima gara della stagione, finì contro il guard rail alla curva Parabolica e morì durante il trasporto in ospedale. I punti accumulati fino ad allora furono sufficienti a trasformarlo nel primo, e tuttora unico, campione del mondo postumo nella storia della Formula 1. Ecclestone lasciò di nuovo le competizioni.
L’era di Bernie Ecclestone
Il terzo addio fu il più breve: già due anni dopo, Ecclestone comprò la stessa Brabham. La diresse fino al 1987 e la portò a due titoli mondiali piloti, con Nelson Piquet.
Assieme ai proprietari e ai manager delle altre scuderie inglesi, Frank Williams della Williams, Colin Chapman della Lotus, Teddy Mayer della McLaren, Max Mosley della March e Ken Tyrrell della Tyrrell, nel 1974 fondò la Formula one constructors association (Foca). Un’organizzazione che per anni si sarebbe contrapposta alla Federazione internazionale dell’automobile (FIA), organizzatrice del Mondiale di Formula 1. Fino al cosiddetto Patto della concordia, che assegnò alla Foca la gestione dei diritti televisivi. Nel 1987 Ecclestone fu nominato vicepresidente della FIA con delega agli affari promozionali.
La nuova F1
In questa veste Bernie Ecclestone ha cominciato a trasformare la Formula 1: da un’organizzazione gestita in modo quasi amatoriale alla multinazionale di oggi. Negli anni ’90 è diventato anche il dirigente più pagato del mondo: nel 1998, il suo stipendio era di 54 milioni di sterline.
Nello stesso periodo il suo nome entrò anche nella politica britannica. Nel 1997, alla vigilia delle elezioni che avrebbero portato al potere Tony Blair, Ecclestone donò un milione di sterline al partito laburista. Non a caso. Ovviamente. Il primo governo progressista dopo 18 anni di Margaret Thatcher e John Major aveva in programma una legge contro le pubblicità delle sigarette. All’epoca molte scuderie erano sponsorizzate da grandi aziende del tabacco: la Ferrari da Marlboro, la Williams da Rothmans, la McLaren da West. La nuova norma risparmiò la F1. Lo scandalo rientrò solo quando Blair restituì la donazione.
La fine dell’impero
Oggi Bernie Ecclestone ha un patrimonio stimato da Forbes in tre miliardi di dollari ed è la 22esima persona più ricca del Regno Unito secondo la classifica Forbes Billionaires 2022. Ha valutato in passato l’acquisto dell’Arsenal, prima di virare sul Queens Park Rangers, comprato nel 2007 per 90 milioni di euro assieme a Flavio Briatore e rivenduto nel 2011.
E non è più il sovrano della Formula 1.
Già nel 2005 aveva ceduto le sue quote di Formula One Group a Cvc Capital Partners, un fondo di private equity britannico. Un affare durante il quale Ecclestone, come ha ammesso nel 2013, pagò una mazzetta da 44 milioni di dollari a un banchiere tedesco. Si accordò alla fine per pagare altri 100 milioni e far archiviare il caso.
Ecclestone è rimasto amministratore delegato fino al 2017, quando Cvc ha venduto a Liberty Media del miliardario statunitense John Malone. Di recente, l’ex imperatore ha detto che i nuovi padroni stanno producendo “una F1 in stile americano”. Non era un complimento. Già 14 anni fa Ecclestone aveva sintetizzato così la sua considerazione per gli statunitensi: “Probabilmente pensano che la Bosnia sia un quartiere di Miami”.
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