Nonostante il caso T-tray sia stato formalmente archiviato, nelle ultime ore sono emersi nuovi dettagli sul funzionamento del controverso dispositivo implementato da Red Bull
Prima la guerra sulle ali, ora sul T-tray
Dopo le forti polemiche scatenatesi sull’estrema flessibilità delle ali anteriori e posteriori della MCL-38 al termine del GP di Baku, questa volta è toccato alla RB20 finire sotto la lente d’ingrandimento sia della FIA che delle altre scuderie.
Il caso è scoppiato proprio a ridosso del weekend di Austin, con la federazione che ha rivelato di essere a conoscenza di un dispositivo brevettato da un team in particolare, capace di regolare l’altezza del t-tray (la protuberanza iniziale del fondo nella zona centrale) in regime di parco chiuso.
Circa 24 ore dopo la ratifica della FIA, che proprio in vista del GP degli Stati Uniti ha ”implementato delle modifiche procedurali per garantire che la distanza dal t-tray anteriore non possa essere facilmente modificata”, Red Bull si è costituita, ammettendo di essere lei il team incriminato.
Tuttavia, nonostante l’ammissione di colpevolezza, la scuderia di Milton Keynes si è difesa dalle accuse affermando di non aver mai utilizzato in realtà il dispositivo per modificare l’assetto a cavallo tra qualifica e gara.
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Tesi ovviamente sospetta agli occhi degli altri team, anche se la FIA, in mancanza di prove concrete, non ha potuto far altro che vietare la soluzione senza però poter imporre alcuna sanzione a Red Bull.
Come funziona quindi il controverso meccanismo? Stando a quanto riportato da Speedcafè, il dispositivo si troverebbe all’interno della pedaliera, quindi non accessibile ai meccanici con il pilota presente nell’abitacolo.
Per poter intervenire rapidamente e azionare il meccanismo in questione, i tecnici dovrebbero prima smontare diversi pannelli e una sezione in carbonio all’interno della pedaliera.
Un intervento che desterebbe ovviamente immediati sospetti qualora Red Bull dovesse agire alla luce del sole, in quanto l’operazione potrebbe richiedere diversi minuti e soprattutto senza il pilota presente fisicamente nel cockpit.
È quindi plausibile che Red Bull abbia detto il vero e che non abbia effettivamente modificato l’altezza del vassoio in regime di parco chiuso, anche se i dubbi persistono. Per prevenire ulteriori polemiche, però, d’ora in avanti la FIA applicherà dei sigilli per tenere sotto controllo la situazione.
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