La F1 ha un macigno che grava sul romanticismo perduto: i responsabili delle pubbliche relazioni che imbavagliano brutalmente i piloti
La F1 ha un problema, che va ben oltre la semplice mancanza di spettacolo. Un problema che non si risolve togliendo 50kg alle vetture, cambiando le gomme o sparando nelle ruote di Max Verstappen. Un problema così intrinseco nel mondo dello sport in generale, che ormai neanche ci si fa più caso: le pubbliche relazioni, ovvero cosa i piloti possono (e, soprattutto, non possono) dire durante le interviste.
Solo un anno fa il Circus si scandalizzava per la posizione presa dalla FIA nei confronti della “libertà di espressione” dei piloti: un bavaglio che la Federazione ha provato ad imporre con la più o meno velata intenzione di evitare controversie con taluni Paesi ospitanti. Tutti, improvvisamente, hanno avuto qualcosa da ridire, come se tutti parlassero di politica dalla mattina alla sera. Ma è davvero così?
Quand’è che avete sentito parlare Charles Leclerc dei diritti umani in Arabia Saudita? Quand’è che Max Verstappen si è aperto sulla questione dell’immigrazione in Europa? Quand’è stata l’ultima volta che Lando Norris ha parlato dei diritti LGBT nei Paesi Arabi? Mai, ovviamente. Non è mai successo. L’unico ad esporsi su certe questioni è sempre stato Lewis Hamilton, e infatti in molti ritenevano che la nuova regola FIA fosse fatta ad personam.
Ma in questo articolo non vogliamo parlare di questo. Non tutti sono a proprio agio ad esporre le proprie idee politiche o religiose. Pretendere lo facciano dei 20enni in Formula 1 è certamente eccessivo. In più, qualcuno potrebbe sostenere che politica e sport debbano restare separati. Il problema è quando il “non dire” si proietta anche su questioni più semplici, sulle quali avere quantomeno una posizione sarebbe d’obbligo.
Come se fosse Antani
Il “caso” degli ultimi giorni è quello di Andretti. La FIA ha approvato l’arrivo della nuova scuderia, ma i team sono contrari. Questione politica, certo, ma di sicuro non influente sugli equilibri geopolitici globali. Ci sarebbe da sperare che i ragazzi in pista abbiano un briciolo di pensiero critico, un qualcosa che stimoli in loro il desiderio di dare un’opinione sulla faccenda.
Macché. “Eh beh si ecco, certo potrebbe creare posti per giovani piloti, ma sì, ecco, la Formula 1 saprà cosa fare, noi vogliamo competizione, se il progetto è serio, ecco, sì, la Formula 1 saprà…” questa frase simil-sconclusionata riassume i pensieri di George Russell, Liam Lawson, Esteban Ocon ed Oscar Piastri. Una frase vuota, che non offre stimoli ulteriori a quelli che Zio Peppo fornirebbe al Bar Sport.
Fernando Alonso, almeno, ci ha provato a dire che “Andretti è un grande nome per la F1“, salvo poi aggiungere che supporterà la linea della sua squadra. Linea che, stando alle parole di Lawrence Stroll, è del tutto contraria all’arrivo degli americani. Ma sono un grande nome, vero, come se fosse Antani, anche per il direttore, la supercazzola con scappellamento.
Sir Lewis Hamilton, ultimo baluardo per la F1?
Come al solito, torniamo a lui. L’unica persona che parla come parlerebbe un amante di questo meraviglioso sport: “Penso sia fantastico, ho sempre voluto più macchine in griglia! So che a qualcuno non starà bene quel che sto dicendo, ma credo aprirebbe anche nuove opportunità lavorative e, magari, anche un sedile per una donna in F1“. 90 minuti di applausi, tutti strameritati. O forse no?
Il Sir della Formula 1, dopo queste favolose parole, soavi per ogni appassionato di motorsport, ritratta tutto. “No, io non supporto Andretti. I parametri devono essere rispettati, e poi un nuovo team dovrebbe portare qualcosa di diverso, come una donna pilota o una dirigenza che non sia fatta di soli uomini”. Sipario. La supercazzola ha stuzzicato anche a lui, alla fine della fiera.
L’unica menzione d’onore va a Valtteri Bottas, che addirittura vorrebbe 30 macchine in griglia. Questi sono i piloti che sanno ancora combattere i dettami di quello che sembra sempre più un business e sempre meno uno sport per eroi della velocità. Peccato il finlandese sia alle battute finali della propria carriera. Il futuro è più buio che mai.
Conclusioni e tarapia tapioco
Noi non viviamo fuori dal mondo, i motivi dietro le scelte di piloti e squadre sono noti a tutti. È certamente preferibile che le scuderie appaiano come un’unica entità, squadra e piloti, ed evitino quanto più possibile le controversie. Comprendiamo come mai Ocon e Gasly non vogliano parlare del meeting interno dopo la sfuriata giapponese, ad esempio, e si limitino ad un “non commenteremo oltre“.
Ci lascia un po’ l’amaro in bocca, però, pensare al passato. Anzi, al futuro. Perché oggi basta ascoltare qualche giornalista d’altri tempi per rendersi conto delle storie che ci sono da raccontare. Delle vicende degli eroi del passato, divinità del volante ma sempre tremendamente umane. Degli aneddoti, degli screzi, delle scommesse. Cosa racconteremo, noi, fra quarant’anni?
Dei meme. Dei “Grill the Grid“. Dei video “leggeri” (per non usare altra parola) che vengono postati qua e là per seguire questo o quel trend social. Si tende sempre a guardare con diffidenza alle dichiarazioni di Marko o di Verstappen. Eppure, se ci si ferma e ci si riflette su, sono gli ultimi sprazzi rimasti di vera (e cruda, brutale) umanità di un Circus sempre più deumanizzante.
Ma, infondo, la supercazzola ha perso i contatti col tarapia tapioco da troppo tempo.
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